My personal gratitude goes to all those who supported this long journey, who helped me along the way, who shared their lives, their thoughts, their personal beliefs with me. Thanks to all of you, wherever you are, for making travelling such an intense, long breath of humanity.

Moscow, August 25th, 2013

Era il 25 agosto 2013. Finivano così, all’aeroporto di Mosca, sessanta giorni di viaggio tra Tehran e Calcutta. Rimasi così colpito dall’Iran che passai il mese successivo in India a risistemare gli appunti raccolti. In un Paese in cui dare ospitalità allo straniero era e rimane illegale, non passai nemmeno una notte in albergo. Le porte aperte e le coperte sui tappeti rivelarono non solo l’ospitalità di questo popolo meraviglioso ma anche l’intima esigenza di ascoltare il mondo esterno e trasmettere il proprio.

Sarei tornato un’altra volta in Iran, quattro anni più tardi, portando a due mesi il tempo passato nella Repubblica Islamica. Ho deciso di raccogliere alcuni frammenti di quei diari, un racconto vivido nel suo impatto con la ferocia della più grande teocrazia del mondo.


Un giorno chiesi a un passante chi fosse quell’uomo dipinto sulla facciata di un edificio. Mi rispose semplicemente “dead”, morto. I muri delle città iraniane sono ricoperti di morti. Martiri della Rivoluzione, per lo più caduti nella spaventosa guerra contro l’Iraq. Sono i pilastri estetici della Repubblica islamica, che celebra sé stessa con gigantesche immagini religiose, figure politiche e allegorie sociali. Assieme, per fortuna, a molti, bellissimi murales che altro non celebrano se non il desiderio di arte.

Sull’isola di Kish sono arrivato di notte, sul motoscafo di un contrabbandiere, in compagnia di tre afghani senza passaporto e quattro iraniani. Al mio fianco, in quei giorni, c’era Ashgan, un atleta di Varzesh-e pahlavānī, la lotta tradizionale iraniana. Prima di quel passaggio, avevamo trascorso un’intera giornata tra minivan e autostop, attraversando paesi di pescatori e maestri d’ascia, minareti sunniti e coste piatte come il mare del Golfo persico, arrivando al porto di Chagar sul fare della sera.

Il resto del racconto si trova in fondo alla pagina, nel post “Kish, l’isola delle meraviglie”


Il governo. I Guardiani della Rivoluzione. I controllori all’ingresso delle università. La polizia morale. Le milizie Bajij. L’esercito. I mullah. L’intelligence. I delatori. Loro, “they” – scandiscono gli iraniani – sono l’emanazione del regime, abitanti di un non-luogo corrotto, odiato, scaltro, temibile. All’opposto ci siamo noi, altro rispetto all’autorità o i suoi rappresentanti. Tutti, qui, distinguono tra “noi” e “loro”. Perché non c’e’ lo Stato, ci sono Loro. Loro, i carcerieri. Noi, i carcerati.

Isfahan, 13 Luglio 2013

Hotel Ervin, la prigione politica di Tehran

Mi hanno impiccato due volte, ma non ho mai confessato ». Alzo lo sguardo e vedo la sua mano sospesa in aria sopra alla testa, a mimare la corda tesa che gli avvolgeva il collo. Sono a una normale festa di compleanno, sul tavolo al centro del giardino i piatti vuoti vengono rimpiazzati da nuove portate. La festeggiata, elegantissima, intrattiene gli ultimi arrivati. Non un oggetto, un particolare, una canzone che renda questo posto diverso da tanti altri nel resto del mondo. Continua a leggere

Il biasimo sociale

Ricordo ancora quel giorno. Eravamo nel mercato di Tajrish, a nord di Tehran, e alcuni commercianti si rivolsero a mia madre sostenendo che io, ormai, sembravo una donna. Pochi giorni dopo toccò agli uomini della polizia morale: senza troppi giri di parole, le consigliarono di farmi indossare il velo. Avevo 13 anni”. Continua a leggere


Uno degli invitati mi sorrise e allungò la mano per presentarsi. Potevamo sentire la musica iraniana e le risate degli ospiti uscire dalla villa in cui si stava tenendo la festa. A pochi metri da noi, in piena campagna, il matrimonio era all’apice del divertimento. “Qui siamo tranquilli”, disse allungandomi una fiaschetta di whisky, “ma il timore che loro arrivino è sempre vivo”. In Iran, i matrimoni promiscui sono illegali. Lo è anche portare vestiti succinti, non indossare l’hijab, ballare e ascoltare certa musica occidentale. Qui, per milioni di persone, questi elementi della Felicità sono stati dichiarati haram, peccati religiosi


Come funziona un regime teocratico

Ramin ha un modo di fare molto accomodante, un po’ per quel tono di voce basso e poi per la risata spontanea, da ragazzo qual è, seduto alla guida della sua vecchia macchina lungo i viali arroventati di Isfahan. La questione che più gli sta a cuore è una: andarsene via, lontano da un Paese che lo fa sentire – parole sue – un fuggitivo e un codardo. Continua a leggere

Questo meccanismo non è dissimile da quello di tante altre dittature, laiche o religiose che siano. A livello interno tutto parte da una consapevolezza: ciò che impedisce alla dittatura di implodere è l’illusione di una vita libera. Durante questi viaggi sono rimasto colpito dalla relativa facilità con cui si potesse godere di libertà illegali: accedere ai social network anche negli internet point, festeggiare di nascosto con amici e amiche, avere una relazione stabile con una ragazza non sposata, ascoltare musica occidentale a basso volume, celebrare un matrimonio laico e promiscuo in un’anonima villa di campagna, distillare del vino nelle cantine clandestine. Se godute in forma privata, tante forme di libertà illegali vengono bene o male tollerate. Continua a leggere


Kurdistan

Un vecchio curdo osserva dall’alto la piana irachena, dove si estende una piccola parte di quella nazione non-Stato che milioni di altri compatrioti si ostinano a chiamare Kurdistan – di cui in Iran, per inciso, è vietato anche solo mostrare la bandiera. Di fronte a lui, invisibile di giorno ma brillante di notte, sta Halabja, la città bombardata con il gas da Saddam nell’88. E’ passata alla storia come il genocidio dei curdi. In questo punto, nel mezzo del venerdì sera, assieme ad altre decine di persone abbiamo mangiato e bevuto attorno ai fuochi, osservando il tramonto su quelle terre arroventate. Tra i fuochi d’artificio, i canti e i bicchieri colmi di alcolici fatti in casa, risuonava un solo brindisi: biji Kurdestan, lunga vita al Kurdistan.Continua a leggere

Un giorno, in mezzo a una vallata del Kurdistan, comprai della verdura da un giovane laureato in ingegneria fisica. Stava dando una mano al padre perché da anni non riusciva a trovare un lavoro. Il 30% dei giovani iraniani risulta disoccupato. Un po’ come in Italia, solo che loro, da lì, non se ne possono andare. Lo stipendio medio è 250 USD al mese. L’Europa e gli Usa rifiutano le richieste di visto che non siano legate allo studio o al business e quelle turistiche richiedono una disponibilità economica che solo in pochissimi possono permettersi. In più, se uomini, tocca anche fare 2 anni di servizio militare. A meno che – mi raccontarono dei ragazzi al Nord – non si disponga di circa 3mila euro, la cifra necessaria a corrompere un funzionario dell’esercito per ottenere l’esenzione per motivi di salute. Quella sì, al contrario di un lavoro, si trova facilmente.


Alcool e mullah

Funziona cosi: o lo ordini o te lo fai. Nella prima ipotesi serve il numero di telefono di un dealer di fiducia. A Tehran si narra del re dei contrabbandieri, un tizio alla guida di un furgoncino bianco in cui conserva, in ordine di grado alcolico e prezzo, le migliori varietà trafficate ai confini con l’Armenia e l’Iraq – e poi, magari, contraffatte. Per i meno facoltosi ci sono invece i produttori interni, per lo più semplici distillatori di arak, la nostra grappa. Ma c’è anche chi, per tradizione o passione, se lo fa direttamente in casa. Continua a leggere

Tehran, 7 Luglio

Come convivere con il Ramadam in una Repubblica islamica

Regola #1: Dissetarsi in pubblico non è consentito e in ogni caso non è considerato rispettoso. Se avete una bottiglia e state camminando in città, cercate una via poco visibile dove potervi dissetare senza essere visti. Alla meglio troverete qualcuno che beve, alla peggio potete sempre scusarvi, saranno comprensivi – Regola #2: Se fate attenzione ai dettagli, scoprirete che non tutti locali sono chiusi come sembrano. Cercate quelli con porte e vetrine ricoperte di pagine di giornale: è un modo per non mostrare cosa accade all’interno, secondo la consolidata abitudine del “tutti sanno basta che nessuno veda”, bibite e gelati inclusi. Regola #3: L’islam permette ai viaggiatori che sostano per meno di dieci giorni in città di poter bere e mangiare. Se vi doveste fermare di più, saltate sulla prima corriera: vi serviranno merendine e succo di frutta.

Kashan, 10 Luglio


Questo neon campeggia sull’Ebrat Museum di Tehran, uno dei paradossi più riusciti di questo Paese. Si trova all’interno di un ex carcere della Savach, la polizia segreta dello Sha, che qui incarcerava e torturava gli oppositori politici. Ovvero ciò che succede oggi agli oppositori di chi ha istituito questo museo. L’intenzione originaria di questo neon era sottolineare che la libertà non fosse “for free”, gratuita. Eppure, in un inglese corretto ma interpretabile, quel concetto e’ stato tradotto con “Freedom is not free”, la Libertà non e’ libera. Che, in fondo, è il vero significato di questo luogo.


Partying on the shores of a lake, where youngsters gather with tents, bbqs and guitars, far from the eyes of the regime

Let’s party

Verso le 5 pomeriggio mi ritrovo in macchina con Ali, diretti verso il punto d’incontro. Altri 20 ragazzi e ragazze stanno aspettando il nostro arrivo per passare la nottata in tenda sul lago. Un vecchio autobus azzurrino aspetta che tutti salgano, il motore scoppia e tossisce, la città si allontana in basso e noi saliamo su un altro pianeta. A pochi chilometri dalla partenza, le tendine della corriera vengono chiuse, le ragazze si tolgono il velo e la musica scandisce i balli tra i sedili. Continua a leggere


The crowd in the great bazaar of Tehran

Chirurgia estetica e cambio di sesso nella Repubblica islamica

Lei avrà almeno cinquant’anni, anche se fa di tutto per nasconderlo. L’altra non più di trenta. I loro nasi, invece, sono coetanei. Ogni anno centomila iraniani evocano il chirurgo plastico per i loro inestetismi. La rinoplastica va così di moda che sfoggiare il setto nasale incerottato è un atto sociale. Leggendo sul tema emerge che l’Iran sia un paradiso anche per il cambio di sesso. Lo stato aiuta finanziariamente chi vuole affrontare l’operazione e le cure ormonali che ne conseguono. Una volta che il medico certifica questa esigenza, il percorso può partire. La ragione riguarda la necessità di non lasciare vuoti burocratici nella definizione della popolazione maschile e femminile. Eppure se sei gay, o meglio, se due uomini testimoniano di averti visto copulare con una persona del tuo stesso sesso, lo Stato, semplicemente, ti impicca.


Di affari, polizia morale e feste capitoline

Da Est a Ovest, dove spicca la torre Milad, le luci non si fermano mai. Da Niavaran, il quartiere che si erge a Nord di Tehran, guardo in basso e ascolto Assad. Tra un sorso e l’altro di whisky, mi spiega come la morfologia del terreno corrisponda alla distribuzione sociale. La piana, enorme e sovrastata da una nube di sabbia e inquinamento, ospita la maggior parte della popolazione. Più si sale verso Nord lungo i pendii della capitale, più l’architettura, la qualità dell’aria e gli stipendi migliorano. Continua a leggere

Guardando quegli occhi blu cielo e i lunghi capelli corvini non penseresti mai di parlare con una donna di cinquantotto anni. La tentazione di fregarsene delle leggi, della morale e del costume per tornare la ragazza seducente di un tempo le fa fare pazzie. Due mesi fa, le è bastata un’ordinaria camicetta con il bordo un po’ troppo alto per essere fermata dalla Polizia morale, un corpo dello Stato che vigila sull’appropriatezza del costume in pubblico. “Inadeguata, attrae lo sguardo degli uomini”, le dicono. Continua a leggere

Nel weekend, l’attività preferita dei giovani iraniani è girare in macchina. Un po’ perché la benzina costa un decimo che da noi, un po’ perché non esistono locali dove ascoltare musica e socializzare, e infine perché è più facile bere, fare festa, persino ballare o sedere a fianco dell’altro sesso. La macchina, insomma, rappresenta la libertà della sfera privata trasportata su suolo pubblico. Tutti i giovedì sera e i venerdì pomeriggio, i viali che attraversano le città si riempiono di macchine allegre e strombazzanti, cariche di note e grida. Continua a leggere

Persepolis

Si chiama Donesvar, “l’uomo che sa”. E’ il padrone della casa in cui ho trovato ospitalità a Shiraz, il centro dell’antica Persia. Sono diretto a Persepolis, le porte della civiltà che univa Oriente e Occidente. In cima alla scalinata che porta agli scavi archeologici svetta la coppia di tori alati con la testa di uomo che custodiscono la Porta delle Nazioni. Si calpesta la reggia che fu di Dario, Ciro e Serse, per poi immaginare le centinaia di colonne che attraversavano il luogo più protetto della Persia, la sala del Tesoro, la stessa che Alessandro Magno svuoto’ con tremila cammelli prima di dare fuoco alla città. Una vendetta, dicono, per il rogo di Atene. Continua a leggere

Bandar Abbas

Salpo per l’isola di Qeshm, la piu’ grande del Golfo persico, attraversando lo stretto di navi petroliere e mercantili che fronteggia Bandar Abbas. Questo non e’ solo il centro finanziario del paese, ma anche il principale porto di mare che unisce le due sponde del Golfo. Da qui salpano i clandestini, la droga e le merci di contrabbando dirette negli Emirati, una delle rotte legali e illegali più trafficate del mondo. Continua a leggere

Kish, l’isola delle meraviglie

(Riprende da inizio pagina) Al nostro arrivo contai quattro navi arrugginite affondate nella banchina, un gruppo di viandanti appoggiati ad un albero, due poliziotti in moto muniti di canna da pesca e il frutto maleodorante dei loro sforzi giornalieri. Nient’altro, tanto meno un traghetto per la nostra Kish. Dai viaggiatori scopriamo che per 200mila Rials, cinque euro circa, uno scafista sarebbe stato disposto a portarci fino all’isola. Continua a leggere

Kish nasce negli anni ’70 grazie alla visione dello Sha Reza Pahlavi, voglioso di trasformare questa piccola isola in mezzo al Golfo Persico nel resort del divertimento mondiale. E anche dopo la rivoluzione del 1979 Kish rimane un’eccezione nel panorama iraniano: non e’ difficile vedere uomini in pantaloni corti, donne in bicicetta, veli corti, tacchi vertiginosi sotto vestiti attillati. I casino’ progettati dallo Sha esistono ancora, trasformati in centri commerciali, ristoranti e boutique di moda italiana e francese. Continua a leggere

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: