Due o tre cose sull’Islanda che non sapevo

Art 29 del contratto di noleggio dell’auto: “L’assicurazione non copre le portiere divelte dal vento”. La prima cosa che non si considera dell’Islanda è che qui vince Lei, la Grande Natura, libera di imbizzarrirsi come i cavalli di queste vallate. Motivo per cui
1. Da queste parti non ci abita quasi nessuno (densità di popolazione 3,6 abitanti per chilometro quadrato rispetto ai 16 del Sudan e gli 8mila di Napoli)
2. Chi però si allontana soffre del mal d’Islanda, una sorta di “saudade dell’aringa” – l’esperto Giuseppe Paduano potrebbe descrivervela meglio.
Ora, tanto per cominciare sfatiamo un mito: i primi a raggiungere queste terre furono in realtà dei preti irlandesi. Di loro non è rimasta traccia fisica, sono i vichinghi a tramandare che quando sbarcarono ne trovarono uno sparuto gruppetto. Un paio di secoli più tardi, verso il mille dC, tutti gli isolani si sarebbero convertiti al cattolicesimo (pare in seguito ad un’astronomica mazzetta) e infine al luteranesimo dei regnanti danesi. Oggi in tanti credono ancora agli elfi e le chiese non le definirei il luogo più frequentato dell’isola. Tra i posti meno affollati aggiungo il McDonald, per il semplice fatto che NON ESISTE. L’unico in attività ha chiuso nel 2009 e tale Hjörtur Smárason conserva ancora l’ultimo hamburger venduto. È in mostra nel sud dell’Islanda (dicono non si sia ancora decomposto), in internet trovate la sua storia. Non vedrete nemmeno Zara o H&M se non nei centri commerciali fuori città. Sarebbe la capitale meno omologata d’Europa se non fosse che anche qui i giovani si ricoprono di tatuaggi e girano col monopattino elettrico.
Una cosa che mi fa impazzire è che hanno trasformato le piazze in piscine (o viceversa): in ogni paese sopra ai 100 abitanti c’è una piscina pubblica (spesso all’aperto), ovviamente riscaldata, in cui la gente si trova, chiacchiera, lancia sguardi, nuota, si rilassa fregandosene della pioggia e del vento. A volte puzza un po’ di zolfo ma ne esci con una pelle mai vista. Come popolo si vantano di non aver mai avuto un esercito e al Museo nazionale di Reykjavik mettono in mostra l’unica arma mai concepita: un’àncora a più braccia ideata per strappare le reti da pesca calate dagli ingordi pescherecci inglesi. Il carcere della capitale non ha un muro di cinta e mi dicono che, nei giorni di bel tempo, aprono le porte e liberano i prigionieri con un braccialetto elettronico alla caviglia. La sede del parlamento è una modesta struttura ottocentesca a due piani in cui legiferano 63 rappresentanti del popolo – anche troppi.
Ci sono ovviamente i potentati, un migliaio di famiglie ben radicate che con la pesca e la proprietà terriera tirano i fili del potere. Chi mastica un po’ di politica locale parla di questo paese come di una sorta di “Italia della Scandinavia”: in una parola, clientelare. Se non fosse che alla fin fine la macchina statale funziona, il concetto sarebbe quello del familismo: tutti conoscono tutti, una mano lava l’altra, mio cugino cerca lavoro tuo zio gli può fare un favore. E a forza di scambiarsi occhiolini e cariche amministrative, si son trovati col sistema bancario in rovina (crisi del 2008). Ora puntano al turismo, che nel 2019 ha fatto settuplicare (si dice così..?) le visite e la cui assenza quest’anno sarà una palla di piombo ai piedi dell’economia. In ogni caso, una birra al bancone continuano a farla pagare più di 6€.
Parentesi Covid: dal primo marzo l’Islanda ha registrato 10 morti e meno di 2mila contagi. Dal 16 luglio chi arriva da Groenlandia, Faer Oer, Scandinavia, Germania e Danimarca può entrare liberamente; gli altri devono scegliere tra un tampone (a pagamento) o 14gg di quarantena. Nel tempo sono state adottate misure di lockdown ma la mascherina non è mai stata imposta.