La notte della Gerusalemme etiope

Lalibela, la Gerusalemme etiope, il 6 gennaio trema di energia. È la vigilia del Natale copto, è il rito che da 900 anni scandisce il tempo di queste montagne. Vibrano le venature delle rocce sacre, si animano i volti estatici dei pellegrini, sotto alle pesanti croci argentate si agitano le loro tuniche bianche. La potenza dell’evento si percepisce lungo le strade dissestate che portano in città, lungo le colonne scomposte di pellegrini che marciano e cantano senza sosta. Avvolti da nubi di terra rossa, migliaia di uomini e donne avanzano nei loro sudari verso una notte all’addiaccio, le ruberie, l’attesa estenuante dell’alba. La città, poco più che un paese di case in legno e vecchi alberghi in cemento, si trasforma. Le vie e i colli che circondano Bet Mariam, la più sacra delle undici chiese a forma di croce scavate nella roccia, si trasformano in un labirinto di bancarelle e oggetti sacri, stoffe, santoni e abba, capre e pecore, paccottiglia dorata, decrepiti manichini, animali, mendicanti storpi, tavolate di caffè e chai, abiti religiosi e riproduzioni dozzinali di marchi alla moda.

Sotto alle fronde dei pochi alberi e sulle gradinate ricavate nella montagna, tra i sassi e le fenditure delle rocce, i cunicoli e le tombe, ovunque la terra conceda lo spazio per un corpo rannicchiato, si ammassano i pellegrini. Tutti assieme, vigili e dormienti, erigono una scogliera bianca a protezione delle chiese. E cantano, mormorano preghiere, espellono i loro bisogni, bruciano candele in cotone e miele, invocano miracoli e guarigioni. Attendono l’annuncio della nascita del Cristo, il canto degli abba che alle prime luci del nuovo giorno richiama la folla, la solleva e la conduce lungo le celebrazioni del Natale. I raggi del sole penetrano nel buio delle chiese e riscaldano i cunicoli colmi di preghiere e letture sacre. In cambio di denaro, stanchi chierici allungano una croce di legno sulle teste dei penitenti, concedendo loro cenere e benedizioni. Negli stessi istanti, in tutte le case dei cristiani d’Etiopia, capre e agnelli vengono macellati dagli uomini e cucinati dalle donne, sotto lo sguardo attento dei più piccoli. Il sangue scorre tra i belati e le campane. I pellegrini si incamminano, i tamburi si zittiscono. E il conto alla rovescia ricomincia.

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