La storia di Awra Amba

Quassù, nel Nord dell’Etiopia, non c’è persona che ignori il nome di Awra Amba. E’ un esperimento unico nel panorama africano, a metà tra il romanticismo hippie e l’ideologia del kibbutz, racchiuso in 4 case sperdute a tre ore di macchina dalle sorgenti del Nilo, verso Oriente. Poche centinaia di persone predicanti uguaglianza di genere, laicismo e solidarietà in mezzo alle campagne etiopi, dove parlare di “gender equality” nel migliore dei casi significa essere presi per pazzi.

Tutto ebbe inizio nella mente di un contadino chiamato Zumra Nuru. Fu lui negli anni ’70 a predicare le fondamenta di una nuova società. Subì minacce, incarcerazioni, ostilità politiche e tentativi di eliminazione fisica. Trasformò gesti banali come maneggiare soldi, tessere e coltivare i campi in un manifesto rivoluzionario: gli bastò dichiararli diritto anche delle donne. Allo stesso modo, distribuì agli uomini il focolare domestico e la custodia dei figli. Relegò la religione alla sfera personale, vietò i matrimoni precoci, impostò l’autogoverno sulla turnazione dei ruoli senza distinzione di genere. Creò un’isola settantottina in mezzo a campagne millenarie, dove i mariti godono del diritto di bastonare le proprie mogli se si rifiutano di lavare loro i piedi. In cui la violenza domestica non è considerata un buon motivo per separarsi e il divorzio getta le donne in strada assieme ai propri figli, prive di reclami sui beni materiali e additate dal resto della comunità.


Ho passato qualche giorno ad Awra Amba, incuriosito da una storia nata dagli ideali ma sopravvissuta alla realtà. Nella biblioteca qualsiasi libro di religione è assente; è fatto obbligo per gli anziani che chiedono assistenza alla comunità di accettarne i principi; l’economia della cooperativa è disastrosa, il sesso prematrimoniale vietato, l’omosessualità bandita. Nell’aria si percepisce un senso di stanchezza per le difficoltà quotidiane, il peso dell’ineluttabilità di un mondo che fatica ad avanzare, spinto dall’ammirazione di qualche occidentale e della borghesia cittadina. Ho visto però anche un’aurea di orgoglio, forse la vanità di essere parte di una leggenda polverosa, di un paradosso guardato con curiosità dal resto del Paese.

Rispondi

Scopri di più da carlo marsilli

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading