Dall’umiliazione alle stelle

“Immagina che tu sia un contadino, intento a zappare la terra e cacciare con il tuo arco. Un giorno arriva un soldato straniero e ti punta il fucile in faccia, stupra tua moglie e impone la sua legge. Tu cosa faresti?”. A ricostruire il dramma è un laureato in Economia incontrato a Kunming, una tranquilla città da 6,5 ml di abitanti. Stavamo scambiando alcune impressioni sulle conseguenze sociali, psicologiche e ambientali della forsennata corsa allo sviluppo in Cina. La questione, dal suo punto di vista, è che tra il 19° e 20° secolo il mondo ha presentato il conto all’isolazionismo dei Qing: prima gli inglesi, poi francesi, portoghesi, russi, tedeschi, italiani e infine i detestati giapponesi, si sono avventati su un colosso dalle strutture economiche e risorse tecnologiche risibili. Quel periodo viene ancora ricordato come il Secolo dell’Umiliazione.

E allora i cinesi, dopo lo sbandamento iniziale, hanno preso una dottrina economica tedesca, riconvertito le falci in martelli e iniziato a correre verso Occidente – il vincitore, fino ad allora, della Storia con la S maiuscola. Da quel momento, tra inimmaginabili inversioni di rotta e rischi di naufragio, non si sono più fermati. Al costo di decine di milioni di morti (una quarantina, secondo alcune stime), fiumi prosciugati, città soffocate sotto nubi di carbone, diritti umani bollati come questione secondaria e fratture generazionali incolmabili. Però, oggi, il giovane laureato che mi parla può guardarsi allo specchio, gonfiare il petto e dire: ce l’abbiamo fatta.

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