Lo sviluppo non ha bisogno di democrazia

Partiamo dal basso. Quella nave container è l’immagine che abbiamo noi della Cina: tonnellate di prodotti a basso costo trasportate via mare in ogni angolo del Pianeta. L’immagine che i cinesi hanno di sé stessi è invece quella sullo sfondo: Pudong, la Manhattan di Shanghai, centro economico e finanziario mondiale, scintillante e appuntito. Grattacieli così alti se ne trovano solo a Dubai e Tokyo, New York è già nel passato.

Il posto in cui sorge non è casuale: si trova sulla riva opposta al Bund, il quartiere sul fiume Huangpu che ospitava le sedi commerciali delle imprese europee. Quelle, in sostanza, a cui i cinesi si rivolgevano per elemosinare posti di lavoro. Ora, dall’alto dei 632 metri della Shanghai tower, i vecchi edifici delle concessioni straniere – che un tempo rappresentavano l’economia trainante di Shanghai e del mondo – sembrano costruzioni di Lego.

Nemmeno l’urbanistica è casuale: le uniche piazze presenti sono dei centri commerciali. La socialità è shopping, luci colorate, consumo compulsivo – e non grigia e rivoluzionaria politica. L’idea stessa del quartiere nasce dopo la mattanza di Tienanmen: si racconta che l’allora sindaco di Shanghai, Zhu Rongji, incassato il consenso del Segretario di partito Deng Xiaoping, convocò una pletora di finanzieri internazionali, indicò la riva orientale del fiume ed espose il progetto più futuristico della Cina. Si racconta anche che, a chi gli chiese cosa ne avrebbero fatto delle 300mila persone che abitavano in quell’area, Zhu avrebbe risposto: “le spostiamo”. E così è stato.

Il comitato No Pudong non è mai esistito. Chi non voleva trasferirsi nelle case governative finiva nelle mani della polizia o dei picchiatori ingaggiati dalle ditte edili. Il benessere, lo sviluppo, la modernità, la Cina li hanno costruiti così. Il punto è che la formula economica di questo progresso viene dall’altra sponda dell’Oceano Pacifico. È quella occidentale, scritta e promossa dalle Università americane ed europee. E la Cina ha dimostrato di non aver nessun bisogno della democrazia e dei suoi meccanismi farraginosi.

Anzi, il processo diventa più efficiente e rapido senza elezioni, consultazioni, movimenti sindacali, controperizie ambientali o sentenze sfavorevoli. Perché alla fine, per i cinesi come per altri miliardi di persone, la cosa che davvero conta è arricchirsi come non mai. E all’uopo, la democrazia, non serve – bastano le leggi. Almeno fino a quando, tra la sera e la mattina, il destino non ti metta nei panni di uno di quei 300mila cittadini che si è visto abbattere la casa per fare spazio alla modernità. Allora sì che le parole Progresso e Democrazia avranno tutto un altro sapore. Ma sarà già troppo tardi.

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