Il meraviglioso mondo dei Parchi del Popolo

Più che un luogo fisico, i People’s park sono un fenomeno sociale. A me hanno dato l’idea di un nido, un intreccio di alberi, vie frondose, ampie piazze e laghi in cui trovare riparo. Mura verdi che isolano e proteggono dal vortice insensato della modernità, custodi del ritmo naturale delle cose.

Ed è con quel ritmo calmo che l’ho vista avanzare. Era avvolta nel suo scialle fuxia, il volto coperto da due grandi occhiali scuri, il corpo minuto appesantito dal vecchio amplificatore che si trascinava al fianco. Da quelle casse, alle 7 di mattina, sarebbero uscite le prime note di un pezzo di liscio cinese. E tra gli alberi del People’s park di Chengdu, una megalopoli da 16 milioni di abitanti, si è iniziato a danzare.

Nello stesso momento, in tutti i parchi pubblici cinesi, qualcuno ha acceso un amplificatore, selezionato una canzone e dato inizio alle danze. Accade sempre, tutti i giorni, dalla mattina alla sera. Durante la settimana sono per lo più pensionati, nel weekend si aggrega anche qualche giovane. Decine di milioni di persone. Attorno a loro c’è chi gioca a badminton o a Xian Qi – gli scacchi cinesi -, chi segue un’improbabile trainer di ginnastica e chi esegue i movimenti del Tai Chi. C’è chi tenta di accasare i propri figli, chi corre e chi beve un tè con le amiche. Tra le tante cose, una mattina mi sono unito a un gruppo di ragazzi e mi sono fatto pulire le orecchie anch’io.

È l’ultima frontiera della comunità, di un mondo da millenni strutturato attorno allo stare assieme e ora stravolto dall’individualismo. Qui le teste non si ingobbiscono sui cellulari, estraniate e silenziose. Per un momento, nei people’s park tutto rallenta.

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