Avere diciott’anni in Cina

Gongola nella sua spensierata innocenza, un metro e ottanta di pingue ingenuità e rada peluria. Dice di avere 18 anni, figlio di secondo letto di un padre impiegato pubblico. Ha 3 amici, tutti suoi vicini di casa. Le altre relazioni umane sono sui social. È stato in Francia una volta e ricorda quanto fosse bella “quella grande chiesa, quella famosa di Parigi”.
Di Pechino preferisce gli hutong – le vecchie vie del centro con le case a uno o due piani – perché i grattacieli lo fanno sentire in prigione. Ha sentito dire che in piazza Tienanmen qualche anno fa è successo qualcosa, del Taosimo conosce solo il nome e il Tai Chi lo declassa a roba per vecchi.
Spera nella fine della censura su internet ma non crede che sia il governo a volerla: la colpa sarebbe piuttosto del motore di ricerca Baidu, è lui a filtrare l’internet. Non ha ancora deciso a quale università iscriversi però da grande vuole guadagnare un sacco di soldi e andare in vacanza negli USA. Certo, il lavoro dovrà consentirgli di avere abbastanza tempo per giocare col cellulare: il guardiano notturno della metro è al momento l’idea più allettante.
Anche se bisogna stare attenti, ammonisce: un sacco di gente ci è morta col telefonino in mano. Stavano attraversando la strada e non si sono resi conto che arrivavano le macchine. Bisogna stare attenti a quei cellulari.