La “Libertà” è vaga

Mi mostra la traduzione dal cinese all’inglese sul suo cellulare, annuendo di fronte al mio sorriso amaro: la frase è “In China, the idea of “freedom” is vague”. Stava proprio cercando l’aggettivo “vaga”. Con tutte le enormi differenze del caso, l’agente immobiliare con cui mi ritrovo a bere qui a Shanghai ritiene che lo stesso valga anche per il suo Paese, quella minuscola ex colonia inglese chiamata Hong Kong.
Avevo sentito una frase molto simile durante i miei primi giorni a Pechino, mentre chiacchieravo assieme a un giornalista della CCTV, la televisione di Stato cinese. Davanti a noi, operai e ruspe stavano abbattendo un tratto di hutong – le vecchie ed affollate vie centrali della capitale, distrutte per far posto a più redditizie attività -, accompagnati dalla polizia e affiancati dalla rassegnazione rabbiosa degli sfrattati. Uno di questi, vedendomi con la macchina fotografica in mano, si avvicinò chiedendomi se potesse rilasciare un’intervista. In piedi al mio fianco, il collega cinese scosse la testa e si avviò nella direzione opposta.
Davanti alla mia insistenza sul tema dei diritti umani, il giornalista rispose definendoli un argomento a cui i suoi connazionali non erano molto interessati. Come se la libertà di pensiero, parola e stampa – solo per citarne alcuni – fossero una materia che non riguardasse questo Paese. “E dunque – chiesi sia al giornalista che all’agente immobiliare – qual è la principale preoccupazione dei cinesi?”
“Money”, risposero.