“Everyone is civilized, everywhere is harmonious”

È una delle tipiche frasi di propaganda che si incontrano viaggiando in questo Stato. Tra le parole d’ordine del moderno PCC ci sono anche “prosperità moderata” e “unità”. Come ogni propaganda che si rispetti, decanta ciò che non esiste. Anche l’armonia, soprattutto se riferita allo sviluppo, sembra mancare.

Alcuni esempi: nel 2016 venne annunciato un piano investimenti in infrastrutture da 720 miliardi di dollari in tre anni. Ad aprile, sulla costa dell’oceano Pacifico, è arrivato a Yiwu, il primo treno merci da Londra. E mentre al Terminal 3 del Beijing International proiettano un video sulla giornata mondiale dell’ambiente e sul China Daily si elogia il messaggio “green” del compagno Xi (Jinping), viaggiando in lungo e in largo si ha tutt’altra impressione.

Ovunque sono pilastri, gru, fondamenta, impalcature, camion e betoniere, acciaio e cemento, cave, rotaie dell’alta velocità e caselli autostradali, fondamenta di interi quartieri e grattacieli. Sembra di assistere alla gigantesca bulimia di una perfetta bolla immobiliare, giustificata da quei 250milioni di cittadini che si spostano internamente alla Cina – di cui 7 sono neo laureati a caccia di lavoro e di una casa – e seguita da una inesorabile devastazione ambientale. Il pragmatismo cinese non conosce limiti, soprattutto quando si tratta di sviluppo, crescita e arricchimento.

Quando chiesi a un contadino cosa ne pensasse del fatto che nella sua valle stessero abbattendo campi e villaggi per far posto ad un’autostrada – distruggendo la stessa natura per cui io e altri milioni di visitatori ci eravamo spinti fino a lì -, la risposta fu semplice: “Con quella strada arriveranno più turisti”. E tra preservare quei luoghi per il domani dei propri figli e avere i soldi per mandarli oggi a scuola, la scelta è obbligata.

L’ineluttabilità ha però un limite: è la corruzione dei governanti locali, ammaliati dai soldi dell’edilizia e dunque avidi di terra. Ma superato il limite, la gente si incazza: secondo Rob Gifford, giornalista britannico con alle spalle 20 anni in Cina, nel solo 2005, a causa di ingiustizie e tensioni locali, si sono registrate 80mila proteste in tutto il Paese.

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