L’oro del Diavolo

“Karno, Karrrno” sibila sorridente tra i 4 denti rimasti in bocca, gli occhi arrossati ricoperti da un paio di grandi occhiali da sci. “Carlo, Carrrlo” rispondo, la voce ovattata dalla maschera antigas che copre il mio volto. Dalla solfatara sul fondo del cratere, dalle tubature che vomitano vapori tossici sulle coste di un lago turchese, l’ennesima ventata di zolfo arriva a travolgerci. Quando riapro gli occhi, sul sentiero che risale la caldera del vulcano Ijen, all’estremità orientale di Giava, spunta un altro minatore. Avanza lungo il pendio a piccoli passi, appena lo spazio della suola dei suoi stivali in gomma. Tra i denti stringe il lembo inferiore della maglietta, i tendini del collo e la mascella contratti in un unico spasmo di fatica. Sulla spalla, legate agli estremi di una spessa stecca di bambù, pendono due gerle colme di pietre giallo oro. L’uomo mascherato mi guarda e solleva 8 dita, “80-90 chilos”, dice. Mi avvicino alle sue, infilo la spalla sotto alla stecca, spingo sulle gambe e dopo appena un passo mi fermo. Dietro di me, come formiche in un girone infernale, altre decine di uomini arrancano in processione tra massi e fumi tossici. In tutto il cratere riecheggiano solo colpi di tosse e il rombo sordo degli sfiatatoi.
È laggiù, alla base del cratere, che il vapore solforoso proveniente dalle viscere della terra fuoriesce dai tubi installati dalle compagnie minerarie e si condensa in rivoli di materia rossa e gialla che colano a terra formando lastre di zolfo. Lo chiamano l’oro del Diavolo. Da più di sessant’anni, sul fondo di questo cantiere naturale, a partire dall’una di notte centinaia di minatori spezzano strati di materia e li trasportano a spalla 3km più a valle, verso i centri di lavorazione nella foresta sottostante. Prezzo al chilo: 1.250 rupie, 8 centesimi di euro.
Di fronte agli sfiatatoi, operai di ogni età immergono i loro corpi nel vapore e affondano le mani nello zolfo, percorsi dai tremiti di una tosse asmatica. Mentre assisto a questo spettacolo dantesco, incastrato tra un incantevole lago acido e un ripido cratere tossico, gli occhi e i polmoni iniziano a bruciare, come avvolti in una cortina di lacrimogeni. È il lavoro più massacrante a cui abbia mai assistito.