Cina
In viaggio nella più grande dittatura del mondo, da Pechino a Shangri-La e ritorno
La Città proibita vista dal Jingshan park, il primo d’agosto. I rilevamenti di PM10 indicavano una concentrazione di 123ug per metro cubo, 27 unità sotto al limite di legge cinese. Nello stesso giorno, a Roma, ne risultavano 50ug, la soglia giornaliera consentita. Lo smog è tale da offuscare i colori, trasformando la città in una sorta di fotografia in bianco e nero. Alcuni si coprono naso e bocca con una mascherina da sala operatoria, altri con un semplice velo. Il periodo peggiore è l’inverno, quando si accendono i riscaldamenti e il traffico cittadino è al culmine del suo volume. In più, per non farsi mancare niente, ogni tanto arriva anche qualche tempesta di sabbia. Dei segnali di miglioramento però si intravedono: al posto degli sciami di biciclette che immaginavo intasare le strade, si sono imposti milioni di motorini elettrici. E, in ogni grande città, il bike sharing sta spopolando – si stima che entro la fine del 2017 gli iscritti saranno quasi 50 milioni.
Questa è la sede del primo congresso del PCC, il Partito comunista cinese. L’anno era il 1921, lo stesso in cui a Livorno nasceva il PCI. Qui invece siamo a Shanghai, la culla e la bara di quell’idea, passata in 70 anni dai contadini in blu ai colletti bianchi della finanza. Usciti da qui, basta attraversare la strada per entrare da Haagen Daaz o sorseggiare un flûte nell’antistante Moët Chandon. Se siete ancora in vena di spese, passate da Carat London e per cena tutti da MarzanoPizza, alle spalle della sede. E poi dicono che il comunismo è fuori moda.
Entire alleys of People’s parks are dedicated to those who seek partners. Parents expose on these umbrellas their unmarried kids’ details – age, education, perspectives – and look for a match with other parents
Una delle esperienze più estranianti è abituarsi a una società di figli unici. Dal ’79 al 2015, dopo anni in cui il compagno Mao aveva incoraggiato il popolo a moltiplicarsi, il Governo cinese vietò i secondogeniti. Per la società contadina significò l’inizio della fine: senza figli (maschi, soprattutto) la continuità del lavoro nei campi diventava impossibile. Una dinamica che diede vita alla sproporzione numerica tra uomini e donne, abbandonate alla nascita perché ritenute inadeguate ai lavori di fatica e costose da far sposare. Una ragazza dello Yunnan mi raccontò come, negli anni ’90, i suoi genitori spedirono la sorella appena nata da una famiglia in campagna: tentavano di nasconderla agli ispettori e alla conseguente multa prevista. Quando infine decisero di regolarizzarla, dovettero sborsare 100mila ¥ (15mila euro), una cifra esorbitante calcolata in base agli introiti familiari. Fu così che cugini e cugine, nella lingua corrente, sono diventati “grande fratello” e “grande sorella”. Un modo per ricostruire – almeno a parole – quel senso di famiglia perduto.
Gli smartphone sono una tale ossessione nazionale che in molti se lo appendono al collo. Sono al centro di ogni relazione sociale, in particolare i pagamenti. Il social che governa tutte le interazioni si chiama WeChat, una sorta di sofisticato WhatsApp cinese che condensa le funzionalità di Facebook, TripAdvisor, Instagram, Amazon e PayPal. Si possono consultare menù al ristorante, controllare orari dei mezzi di trasporto, giocare online, ottenere sconti e, soprattutto, pagare. Ovunque, qualsiasi cosa, tramite un semplice QRcode. E intanto la Tencent – 15miliardi di dollari di fatturato annuo -, proprietaria del social network, sa con chi parlano, dove sono, cosa desiderano, prevedono e pensano 963 milioni di persone, in gran parte cinesi. Una miniera d’oro di informazioni, gratuita e volontaria, che per legge può essere consultata anche dal Governo di Pechino.
Sulla Tencent: http://www.linkiesta.it/it/article/2017/05/13/wechat-incanta-leuropa-ma-nasconde-una-brutta-grana-la-censura-del-gov/34155/
Prove di riconciliazione nazionale a guida italiana. Quello a sinistra è Tom, taiwanese da 5 generazioni. L’altro è Marc, ex militare originario di Chongqing, Cina centro occidentale. Si presentano – come tutti i giovani – col loro nome inglese, il più delle volte ispirato da personaggi del cinema americano. Tra i loro due Paesi, come è noto, da 68 anni non scorre buon sangue. Sul passaporto di Taiwan è scritto “Republic of China”, su quello cinese “People’s Republic of China”. Eppure per tanti aspetti le cose non sono come sembrano. Tom, ad esempio, sta con una ragazza cinese conosciuta all’Università di Taipei. L’ha conosciuta grazie ad un programma di interscambio universitario che porta migliaia di ragazzi a vivere e studiare sulle due sponde dello stretto di Formosa. Dagli aeroporti partono voli diretti per le principali città e i rapporti economici sono miliardari. C’è solo un problema: Tom si considera taiwanese, Marc invece lo ritiene cinese al 100%. E adesso vai a capire cos’è una Nazione